Vitigni storici

Aglianico

Vitigno campano molto coltivato e di antica origine, che nel corso dei secoli ha generato numerosi biotipi e sottovarietà. Con buona probabilità sotto il grande cappello delle viti Amineeerano inglobate numerose varietà diverse tra loro. Plinio e Columella suddividono le viti Aminee in cinque o sei tipi, tra le quali Aminea, A. maior, A. minor, A. gemina maior, A. gemina minor, A. lanata. Non è così scontato, tuttavia, che l’odierno Aglianico sia uno dei vitigni che hanno reso famosi i vini della Campania Felix, e se in qualche modo fosse imparentato alle Aminee.

Sempre Plinio le considera uve autoctone per la lunga permanenza nel territorio campano e per la perfetta acclimatazione con le zone viticole della costa e dell’entroterra, sebbene con certezza venga attestata l’importazione in Campania da parte dei coloni greci che nell’VIII secolo a.c. fondarono Ischia e Cuma. Dobbiamo attendere la metà del 500 affinchè la dicitura Aglianico compaia sui vini prodotti nei dintorni del Monte Somma, fino a quel momento noti come Falerno. Grazie a questa continuità storica e alle testimonianze scritte di Columella, Carlucci all’inizio del Novecento afferma che l’Aglianico è l’uva dei mitici vini dell’antichità. Molti restano nonostante tutto i dubbi da parte degli ampelografi sull’identità del vitigno, viste le molteplici varianti fenologiche e la ricca sinonimia. Guadagno, nei giorni nostri, avvalora l’ipotesi che il vitigno non sia di origini greche, trattando del fatto che la sua elevata acidità è tipica delle uve selvatiche. La diffusione di questo antico vitigno in epoca pre-fillosserica (fine 1800) è legata agli areali di coltivazione del Sud Italia, Campania, Puglia, Basilicata, Molise e limitandosi adesso per lo più alla Campania e alla Basilicata, con ulteriori differenziazioni biotipiche legate ai territori di maggior vocazione (Taurasi per l’Irpinia, biotipo Amaro per il beneventano e Vulture per la Basilicata). Infine, negli ultimi venti anni, lo sviluppo della ricerca genetica sulla vite ha dimostrato una notevole variabilità intravarietale dell’Aglianico, vitigno a sé stante e unico se parliamo di Vulture, Taurasi o Beneventano/Taburno, distinto ed estraneo all’Aglianicone. Ha un grappolo di forma cilindrica, talvolta conico, piuttosto grande e compatto, con presenza di una o più ali. Acino piccolo e sferico, dalla buccia pruinosa e di colore blu scuro. Maturazione tardiva o molto tardiva a seconda della quota di coltivazione.

Coda di volpe

Vitigno campano antichissimo, di probabile origine greca, presente in Italia già all’epoca romana. Il nome si presume sia legato alla particolare forma del grappolo, una curvatura nella sua parte apicale che ricorda appunto la coda di una volpe, e che ha permesso di seguirne la diffusione nel corso del tempo, mantenendone l’identità. Anche ampelografi del diciannovesimo e ventesimo secolo (Frojo, Rasetti e Carlucci) la descrivono in modo perfettamente allineato alla descrizione romana.

Come molte altre varietà antiche italiane, sono numerose le sinonimie, purtroppo errate, tra le quali Coda di Pecora, Pallagrello bianco. Esistono sinonimie incerte, tra cui quella con il vitigno Caprettone (dell’area vesuviana). Gli unici sinonimi ancora in uso sono quello di uva Durante e Falerno attribuiti da Frojo nel 1875. Presente soprattutto in provincia di Benevento ma anche nell’Avellinese, è comunque coltivata in tutte le province della Campania, dove figura tra le varietà raccomandate. Come vitigno vinificato in purezza, dà origine all’omonima tipologia monovitigno nell’ambito dei vini a DOC Sannio e nelle sottozone Taburno, Sant’Agata dei Goti, Solopaca e Guardiolo. Vitigno non molto vigoroso, si adatta a potature corte o lunghe e forme a spalliera, ha una bassa fertilità delle gemme e produzione non molto costante. Presenta una certa compattezza del grappolo, allungato, dotato di due o più ali piccole il cui peso oscilla tra i 250 e i 300 grammi, ed è sensibile alle condizioni climatiche in fioritura. L’acino è piccolo e di colore verde giallastro tendente al dorato in piena maturazione. Resiste abbastanza bene alla Botrytis, meno alla peronospora. Si adatta a diverse tipologie d’innesto. L’epoca di maturazione è nella prima metà d’ottobre. Il livello di zuccheri alla vendemmia è abbastanza elevato, mentre l’acidità totale è piuttosto bassa. Il profilo sensoriale del vino da uve Coda di Volpe, presenta un colore giallo paglierino, di intensità variabile a seconda dell’annata e dell’epoca di raccolta, con riflessi dorati. Il profumo è gradevole, dominato da note fruttate di pera, floreali di fiori gialli e sentori minerali. Al gusto è un vino sapido e sufficientemente fresco di acidità, di ottima struttura, grasso, che si accompagna a pietanze a base di pasta o riso in salsa bianca o con verdure, ma anche minestre di verdure, carni bianche (pollo), formaggi non molto stagionati.

Falanghina

Come molte altre varietà nella zona di Flegrei, si presume che sia arrivato con i primi coloni greci prima di diffondersi ulteriormente. Il nome sembra derivare da un nome latino, falangae, che significa i pali di supporto utilizzati in viticoltura. Il nome Falanghina non ha subito particolari trasformazioni nel corso dei secoli, e ancora oggi è sinonimo di Falenghina, Fallenghina, Fallanchina, Falanchina, che sono semplici inflessioni dialettiche. C’è un’eccezione: il termine Biancazita, un caso di denominazione errata, poiché recenti indagini genetiche hanno dimostrato che è correlato a Ginestra.

Citato negli inventari agronomici e in Le Muse Napolitane da Basile nel 1600, Onorati lo colloca nella varietà designata di uva da tavola. Frojo, all’inizio della metà del 1870, identifica due tipi: la Falanghina Bianca e la Bastarda, che si trovano nelle aree del Vesuvio, Ischia, Somma e Flegrei, e la Bianca del Nord Casertano, Formia e Sessa. Al giorno d’oggi, le analisi genetiche distinguono solo la Falanghina Flegrea dalla Falanghina Beneventana. La Falanghina è diffusa in Campania, Molise e provincia di Foggia. Negli anni ’70, Francesco Avallone riscoprì la vite nella catena del Massico, alla base di Falerno e ampliò notevolmente la coltivazione. La famiglia Martusciello in seguito estese questa coltivazione ai campi di Flegrei. Fino a poco tempo fa, la Falanghina Beneventana non era considerata un’altra varietà dalla Flegrea. La Falanghina Beneventana sembra essere originaria di Taburno, una provincia di Benevento. La sua presenza nelle altre zone vinicole della Campania è di minore importanza. La dimensione del grappolo della Falanghina Beneventana non differisce molto da Flegrea ma ha una forma più conica / piramidale e una presenza alare. L’uva stessa, anche se di dimensioni simili, è più ellittica e quando matura, di colore giallo verdolino. La maturazione è da media a tardiva, all’inizio di ottobre.
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